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Peste nera e COVID-19, non sarà il caso di fermarci, riflettere e cambiare qualcosa?

by / lunedì, 16 marzo 2020 / Published in Giustizia e società

Inizio questa mia riflessione mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha da pochi giorni dichiarato “pandemia” i contagi da “covid19”; mentre in Italia si sono ampiamente superati i 24.000 contagiati; mentre di questi più di 1.800 sono deceduti e oltre 2.300 sono totalmente guariti, quindi, la si metta come si vuole, mentre le istituzioni sanitarie e politiche, mondiali e italiane, negano quella che per molti fino a ieri era una certezza, la fine delle grandi e letali pandemie.

“L’epidemia” è la manifestazione frequente e localizzata di una malattia infettiva limitata nel tempo, nel 2002 c’è stata la “sars”, meno contagiosa, ma a quanto dicono gli esperti, molto più mortale del nuovo corona virus, questa, sviluppatasi in Cina, fece fatica ad uscire dai confini della grande potenza militare asiatica e non fu mai dichiarata pandemia. Allo stesso modo “ebola” è stata e in alcuni casi è ancora, con una mortalità stimata oltre il 70%, una devastante epidemia, ma “solo” per molti Paesi africani. Il termine “epidemia”, quindi, viene utilizzato quando una malattia, causa contagio, aumenta rapidamente in un numero di casi oltre l’atteso, in una particolare area geografica e in uno specifico intervallo temporale. La “pandemia”, invece, è un’epidemia globale, che si espande rapidamente in più aree geografiche del mondo. Tale definizione non dipende dalla sua aggressività, dalla sua letalità, ma esclusivamente dalla sua diffusione geografica, infatti, il “covid19” ad oggi risulta essere presente in ben 146 Paesi e Regioni, in tutti i continenti e risulta essere responsabile di circa 160.000 contagi e di oltre 5.700 morti. Dati impressionanti, dati che mostrano un virus più veloce delle parole di tanti governanti, soprattutto europei, che sembrano voler fare dell’indecisione il loro “marchio di fabbrica”, dati, però, resi meno scabrosi dalle oltre 60.000 persone completamente guarite.

Ora, però, vorrei evitare il naufragio nell’oceano di numeri e statistiche che muta di ora in ora, personalmente vorrei dire che in l’Italia, ben prima di oggi, dal momento che ormai è praticamente un mese che ha chiuso tutte le scuole di ogni ordine e grado, il governo avrebbe dovuto prendere decisioni ben più drastiche, ricorrendo al blocco totale delle attività, prendendo esempio proprio dalla Cina dove la pandemia, nella città di Whuan, ha avuto inizio nel dicembre 2019. Comunque, seppur è vero che è “sempre meglio tardi che mai”, mi pare che almeno in parte adesso si sia imboccata la strada giusta, certo, tante attività ne soffriranno economicamente, ma se davvero in poco più di un mese, come prospettano tanti esperti, si dovesse arrivare ad invertire la tendenza che vede oggi ogni tre giorni il raddoppio dei contagiati in Europa, sarebbe un grande successo. Ora gli italiani devono metterci del loro, rispettare le norme comportamentali emanate dal governo e capire che il bene comune e la salute vengono prima delle ideologie politiche. Viviamo in un mondo globale, dove non esistono muri e mi sembra ridicolo il tentativo da parte di alcuni Paesi di bloccare il virus bloccando aeroporti e frontiere, secoli fa, quando gli aeroporti ancora non c’erano, ma le frontiere erano molto più facili da sigillare e virus e batteri viaggiavano lenti, nessuno riuscì a fermare la “peste”.

Fu la prima, terribile, devastante, pandemia della storia! Molti andranno, attraverso i ricordi scolastici, ai “promessi sposi” di Alessandro Manzoni, alla “peste bubbonica” che, scesa con gli alemanni a Milano nella prima metà del 1600, costò la vita alla metà delle popolazioni che abitavano il nord della Penisola italica; altri ricorderanno il “Decameron” dove il Boccaccio descriveva, già nel 1348, la “peste nera” che colpì Firenze e l’Europa intera causando nel “vecchio continente”, secondo la maggior parte degli storici, la morte di oltre 50 milioni di persone e ci sarà anche chi ricorderà  la tremenda epidemia di peste che 1.500 anni fa, ai tempi di Giustiniano, mise in ginocchio l’Impero Romano portandosi via la metà della popolazione dei tempi.

Ora, noi, tutti noi, al di là delle scelte dei vari governi, in Italia, in Europa, nel mondo, abbiamo un compito ben più difficile di quello dei politici e anche di chi a questi fa da cassa di risonanza e proprio sulla mancanza di muri e sulla comunicazione globale dobbiamo trovare la forza per vincere le nostre debolezze e non farci vincere dalla nostalgia di antiche frontiere protette dalle armi, che la storia ha dimostrato, possono fermare gli uomini, ma non virus e batteri. Bisogna ricordarsi le parole di Giovanni Boccaccio, come questi descriveva l’estrema perversione dei tempi: “La compassione e la pietà verso gli appestati vengono ignorate e dimenticate: i malati sono abbandonati in casa dai loro stessi parenti; i poveri muoiono in strada senza aiuto alcuno; molti abitanti di Firenze fuggono nelle campagne per evitare il contagio; i servi si approfittano dei padroni ammalati per derubarli; e si assiste pure a funerali solitari e a sepolture in fosse comuni.” Oggi non deve più essere fatto quell’errore, non ci si deve guardare l’un l’altro con diffidenza; non si deve credere che lo sconosciuto sia sempre, necessariamente portare di contagio; non si deve lasciare imbarbarire i rapporti sociali. Attenzione e rispetto delle normative comportamentali dettate dal governo non significa rinunciare al vivere civile, non significa isolarsi dal mondo, anzi, per come la vedo io, significa arrivare, attraverso i moderni metodi di comunicazione, a risvegliare tante coscienze sopite, a far capire che non serve la caccia all’untore di medioevale memoria per fermare il “covid19”, piuttosto, serve consapevolezza, serve capire che i sacrifici, quando necessari, vanno assolutamente fatti perché se è vero, che in termini di morti in relazione alla popolazione mondiale, il nuovo corona virus non arriverà mai a farne quanto la peste che per secoli flagellò il mondo, è altresì vero che virus e batteri sono creature opportuniste che tendono a colpire dove trovano un bersaglio debole. Tradotto, ai tempi di Giustiniano, così come agli albori del Rinascimento di medicea memoria ed ancora nella Milano del 1630, il batterio responsabile della peste si insinuò in popolazioni già in difficoltà, stremate dalle carestie o dalle guerre, la stessa “influenza spagnola” che fra il 1918 e 1920 uccise più di 50 milioni di persone fu associata alle carestie lasciate in eredità dalla prima guerra mondiale e oggi, che sono almeno 50 anni che non ci sono più carestie mondiali importanti, che in un modo o nell’altro, il sistema economico globalizzato nel quale viviamo, associato alle alte rese agricole, ha sempre permesso abbastanza regolarmente la fornitura di cibo un po’ in tutte le regioni del mondo, sembriamo comunque incapaci di rinunciare a farci del male. L’uomo pare non riuscire a farsi mancare le guerre e tutto ciò che ne consegue, dalla fine del secondo conflitto mondiale nel mondo non c’è mai stato un solo giorno intero di pace globale, inoltre, tutti noi, chi più chi meno, viviamo esposti a condizioni di inquinamento mai riscontrate nella storia dell’uomo, quindi, ecco che, nonostante si siano passati decenni ad auto elogiarsi per i progressi della sanità e per le scoperte scientifiche e tecnologiche in campo medico, anche il “ricco e progredito” mondo moderno si scopre debole, forse, oltremodo indebolito da condizioni di inquinamento estreme, fatte di particolato fine, di metalli pesanti, di pesticidi, microplastiche e schifezze di ogni tipo che quotidianamente respiriamo, mangiamo e beviamo. Ecco che, nel nome del progresso, nel nome del diritto globale alla democrazia,  forse, nel nome della ricerca e forse, nel nome della ricerca di qualche arma batteriologica, l’avidità dell’uomo torna a fare la differenza ed a creare l’ambiente sociale, ma anche morale, politico ed economico nel quale il “covid19”  diventa pandemia. Ora sta a tutti noi, prima ancora che ai governanti italiani, europei e mondiali, non farlo diventare la “nuova peste”.

Lorenzo Bini 

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