Non arrendiamoci, studiamo, leggiamo, è il sapere che potrà renderci liberi
Ma c’è ancora qualcuno, con tutto ciò che si vede e si sente, che ancora riesce a sostenere che il nostro è un tempo di progresso?!
Guardiamo la politica, fermo restando che noi siamo e saremo sempre contrari ad uno stato centralista, siamo comunque passati da De Gasperi a Di Maio, da Berlinguer a Zingaretti, da Almirante, passando per scartini come Fini e Alfano, alla Meloni, da Andreotti a Renzi, insomma, senza voler infierire, mi pare che la classe politica, negli esempi avrei potuto continuare quasi all’infinito, tutto sia, ma certamente non migliorata, soprattutto da un punto di vista culturale.
Ora guardiamo la scuola, perché tutto ha origine lì, una volta lo studente ribelle era quello che non studiava, il rifiuto dello studio era il segno più evidente ed eclatante della ribellione. Oggi è l’esatto contrario, non studia più nessuno o quasi, i ragazzi sono interessati a tutto tranne che a studiare, così, lo studente ribelle è diventato colui che studia, quello che dedica parte considerevole del suo tempo alle lezioni, ai libri ed allo svolgimento dei compiti.
Oggi, chi studia, chi si distingue in positivo nel raggiungimento degli obiettivi scolastici, quando va bene, è etichettato come “secchione” e spesso capita anche che sia costretto a subire le angherie ed i soprusi dei compagni di classe. Insomma, lo studio da attività centrale per un ragazzo è diventato una specie di optional, ritenuto inutile e disprezzato dai più.
La scuola, lungi da me difenderla ad oltranza perché ha certamente le sue colpe e non sono poche, non deve diventare qualcosa di inutile per manifesta inutilità di troppi rappresentanti della classe insegnante, bensì il motivo, semmai, per fare dello studio e della conoscenza una ragione di vita. La scuola non funziona? Cambiamola, ma in meglio, di riforme peggiorative e dannose ne abbiamo già viste anche troppe!
Ricordo i miei tempi, le aule occupate, l’autogestione, gli scioperi al fianco degli operai della Lancia e della Fiat, i festeggiamenti di un mucchio di idioti quando si apprese che Aldo Moro era stato giustiziato dalle Brigate Rosse, gli spinelli fumati nei corridoi con il compiacente sorriso di una classe insegnante che marciava fiera con il giornale “Lotta Continua” sotto il braccio o nel caso dei più moderati con “Il Manifesto” o “L’Unità”. Ricordo come le idiozie proferite dai professori fossero tali e di tale entità da riuscire a regalare sorrisi o sgomento a seconda dell’umore degli udenti. Ricordo, fra i tanti ricordi, come una mia professoressa di italiano e storia riuscì a definire invasori gli americani in Vietnam e civilizzatori i sovietici in Afghanistan, insomma, ricordo una scuola malata, ma non per questo con una funzione deterrente rispetto allo studio ed alla lettura, anzi. Semplicemente non bisognava ieri e non bisogna oggi, al di là del conformismo che pregna la nostra società, dare troppa importanza al titolo di studio, infatti, siamo pieni di laureati incapaci di coniugare un verbo, ma poi, mancano gli altri, quelli che magari la laurea non l’hanno presa né a pieni voti, né al pelo, ma che comunque per sapere, per esperienza e reale capacità, potrebbero essere gli artefici del cambiamento di cui necessitano la scuola e la politica.
Non basta fregarsene, non basta pensare di riuscire a far tutto attraverso un clic sul mouse; non basta la stupidissima scusa, palese conseguenza di un’educazione sbagliata, dietro la quale la maggior parte dei ragazzi ama nascondersi, ovvero, “nella vita non serve sapere, ma conoscere le persone giuste”; non serve la difesa dell’ignoranza ed allo stesso modo, non serve una scuola che occupa gran parte del tempo dei docenti in riunioni sulla programmazione didattica, sull’orientamento in entrata e in uscita, sull’accoglienza, sui bisogni educativi speciali ecc. ecc.; non serve una scuola ostaggio delle istituzioni e dei ministeri da sempre comodo bersaglio di sedicenti “paladini del popolo”; non serve una scuola dove gli insegnanti cambiano continuamente e poi, trovato qualche valido supplente, non è in grado di trattenerlo; non serve una scuola digitale, cosparsa di lavagne elettroniche e tablet; non serve una scuola impegnata a rincorrere il cambiamento con un’alternanza scuola-lavoro che si traduce nel fare poco e male e nel sapere poco o niente, insomma, non è possibile essere arrivati nel 2020 e non avere la certezza su cosa la scuola sia rispetto alla parola cultura, sinonimo o contrario?!
Quello che vorremo, quello per cui noi ci battiamo, senza essere disponibili ad alcuna mediazione, è una scuola libera dai diktat di partito, libera da docenti militanti di destra e di sinistra; libera dalle interpretazioni ideologiche di quanto scritto da Petrarca, Dante, Manzoni ecc. ecc.; libera dalle statistiche che impongono promozioni assurde; libera dalle ingerenze di genitori che vorrebbero sempre promossi i propri figli; libera da studenti che non credono nello studio e nella necessità del sapere; libera dalle riforme strabilianti che non hanno mai portato miglioramenti. Ci piacerebbe far tornare il buon senso alla base di tutto, scuola compresa; ci piacerebbe avere meno burocrazia, meno leggi, meno persone che arrivano ad insegnare perché incapaci di mettere diversamente a frutto la propria laurea; ci piacerebbe avere una classe insegnante valida, capace e motivata, in grado di rendere piacevole lo studio e di motivare i ragazzi. Ci piacerebbe riuscire ad avere una scuola capace di forgiare una nuova classe dirigente, non voglio credere che noi di Italia Terra Celtica siamo gli unici a vergognarci dei politici che rappresentano l’Italia, gente incapace di scrivere correttamente in italiano; gente incapace di fare un discorso senza fare errori grossolani di sintassi; gente che in qualsiasi altra parte del mondo civile, mostrati i titoli di studio, farebbe scattare immediate indagini sull’affidabilità degli istituti scolastici e sugli atenei che li hanno concessi.
In definitiva, fra le tante altre cose, nessuna certamente seconda ad un’altra, la scuola è terreno di scontro fra Italia Terra Celtica e il sistema partitocratico romanocentrico, che basa la sua forza e la sua inattaccabilità proprio sul disastro culturale che affligge l’Italia, ovviamente cosa voluta e negli anni organizzata al meglio dal legislatore.
Il Segretario Federale
Paolo Bini