Era il mese di maggio dell’anno 2010
Era il maggio 2010, quando la giornalista Maria Luisa Busi, conduttrice dell’edizione delle ore 20 del Tg1, per difendere le proprie convinzioni professionali, decise di levare la propria faccia dallo schermo televisivo. Già allora l’informazione, lasciamo perdere quella del biscione berlusconiano e quella di “La7”, nelle mani del discepolo del Cavaliere di Arcore, al secolo Urbano Cairo, era chiaramente orientata al soddisfacimento di poteri più o meno occulti, che nulla avevano a che fare, esattamente come oggi, con il giornalismo, quello vero, quello d’inchiesta, quello libero d’informare gli italiani sulle reali condizioni del Paese. Ebbene, in quel contesto, Maria Luisa Busi decise che era più importante fare la giornalista, preservare la propria dignità e quella della sua professione, piuttosto che mettere faccia e voce al servizio, non degli utenti paganti il canone Rai, bensì dei partiti politici che avevano, esattamente come oggi, la pretesa di scegliere le notizie da dare e quelle da non dare, il come darle ed a che ora passarle in televisione. La sua lettera di dimissioni, quella in cui annunciava l’intenzione di abbandonare la conduzione del Tg1, fu affissa nella bacheca della redazione del telegiornale, indirizzata all’allora Direttore Augusto Minzolini e al Cdr, nonché per conoscenza al Direttore Generale della Rai Mauro Masi, al Presidente dell’azienda Paolo Garimberti e al responsabile delle Risorse umane Luciano Flussi.
Non l’abbiamo mai pubblicata, allora lo fece qualche testata giornalistica, alcune cercarono anche di strumentalizzarla a seconda di quale che fosse il loro padrone, ora, abbiamo deciso di rispolverarla perché la riteniamo ancora più attuale di quando, ormai undici anni fa, fu scritta. L’informazione, pubblica e non, in Italia è ormai cosa inesistente, i giornalisti, sembrano unicamente, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, orientati a fare i servi di chi ha fra le mani le leve del potere e dunque abbiamo deciso di dare spazio alla lettera di Maria Luisa Busi nella speranza che questa possa servire a favorire un profondo esame di coscienza, soprattutto in tanti sedicenti “professionisti dell’informazione” perché una notizia edulcorata o una notizia non data, equivale, troppo spesso, allo sparare all’impazzata fra una folla di gente ignara e innocente.
Dunque, ecco le parole di una vera giornalista:
Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori”.
“Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: “La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale”.
“Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E’ stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo.
E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perché falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il Tg1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai Ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale”.
“L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo – e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale”.
“Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E’ lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori”.
“I fatti dell’Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. E’ quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica”.
Poi, nella missiva al Direttore Minzolini, la Busi non lesinò annotazioni personali:
“Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
1)respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2)Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a “Repubblica”, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di “danneggiare il giornale per cui lavoro”, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: “Il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche”. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani: Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita “tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali” e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno”.
Per poi concludere:
“Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere”.
Noi concludiamo, senza nessuna strumentalizzazione, semplicemente invitando i lettori a riflettere, ringraziando chi ha fatto con coraggio onore all’informazione, senza mai abbandonare le antiche regole del mestiere, mettendo ogni giorno al servizio dei cittadini la propria grande professionalità. Oggi ci sarebbe bisogno di tanti giornalisti come Maria Luisa Busi, ma evidentemente, negli anni, la categoria si è svuotata di persone fedeli all’autenticità dell’informazione. Oggi, in un’era di grande incertezza, si insegue esclusivamente il business del mercato editoriale ed a farla da padrona, mancando ormai in maniera congenita la ricerca della verità, è la disinformazione.
Il Segretario Federale
Paolo Bini