31 maggio 2015, il solito voto dove hanno vinto tutti meno che gli italiani
Mentre impazzano i programmi televisivi dove tutti risultano vincitori delle elezioni che lo scorso fine settimana hanno interessato sette regioni e molti comuni e che sulla carta avrebbero dovuto portare alle urne più di 22 milioni di italiani; mentre il Pd renziano si prende la Campania con il pregiudicato De Luca in barba alla legge Severino che impose le dimissioni dal Senato e l’interdizione dai pubblici uffici a Silvio Berlusconi e mentre la sensazione, divenuta certezza, che nulla possa cambiare affidandosi ai partiti iscritti al “club della partitocrazia romanocentrica”, l’Italia continua a rotolare lentamente, ma inesorabilmente, verso il baratro che, ogni giorno passato senza nulla fare, diventa sempre più vicino.
Non c’è dichiarazione dei tanti pseudo vincitori che non evidenzi in maniera inequivocabile come la crisi italiana sia prima di tutto “politica e istituzionale” e come tutte le fantasiose ricette evocate per uscirne altro non rischino di essere che gli ennesimi tentativi sbagliati, già visti e rivisti che, se praticati, come ci insegna la storia più o meno recente del nostro Paese, altro non farebbero se non cancellare ulteriormente le prospettive per il futuro e affrettare il declino della Nazione.
Mi pare che la politica italiana non possa più nascondersi dietro le insignificanti facce dei piccoli ras di quartiere che la rappresentano, a calcare la scena che conta è il corporativismo della grandi e piccole lobby, sono loro a decidere, a imporre leggi, decreti e quant’altro, sono loro a muovere i fili dei politici che chiedono il voto agli italiani per poi rappresentare interessi completamente opposti a quelli dei loro elettori.
Tutto ciò è alla base del grande rifiuto, la gente non va più a votare, l’emorragia di voti è di ben 10 punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti con solo un italiano su due aventi diritto che ha scelto di recarsi alle urne.
Abbiamo un 50% del corpo elettorale a cui non gli frega più nulla, la metà degli italiani ha capito che i partiti romanocentrici non faranno mai niente per il popolo, ma in Veneto, dove gli indipendentisti erano più forti, il popolo ha comunque perso l’occasione per lanciare un chiaro messaggio di ribellione ai partiti, Lega compresa, arroccati a difesa del centralismo istituzionale. Un voto per l’indipendenza veneta avrebbe potuto significare molto, avrebbe fatto capire ai partiti delle tasse e della tutela dei delinquenti che il vaso è ormai colmo e che, così continuando, gli italiani sarebbero stati capaci di dire basta!
Ciò non è avvenuto, ovunque, come massimo gesto di protesta, si è scelto di rimanere a casa o di sfruttare il ponte del 2 giugno per fare altro ma, seppur tale gesto di massa potrebbe essere preso in considerazione dai partiti, io credo, invece, che non sia servito a nulla. Ormai la politica italiana è palesemente avviata a copiare in tutto e per tutto l’esempio a stelle e strisce e là, nella “patria della democrazia”, la politica ha scelto, sin dall’elezione di George Washington, di preferire una scarsa affluenza alle urne, anzi, meno sono i votanti e meglio è!
Quello che emerge chiaramente dall’ultima tornata elettorale è ciò che noi andiamo denunciando da tempo, ovvero, un Paese che non riesce a crearsi percorsi di condivisione, a superare passaggi ineludibili, a fare i conti con la realtà dei fatti. Un Paese fatto di scorciatoie, di baratti, di piccoli e grandi favori, di qualche nobile gesto, ma di molti, troppi, terribili misfatti.
Il Segretario Federale
Paolo Bini