Questa Italia è fuori dal mercato!
Questa Italia è fuori dal mercato! Piaccia o no, bisogna rendersi conto di questo e bisogna farlo in fretta perché il tempo per girare la “prua del Paese” sta per venir meno. Gli italiani si saranno perfettamente resi conto che le “ricette” del centro-destra non hanno funzionato, così come non hanno funzionato quelle dell’esimio professor Monti, quelle del suo successore, Letta ed oggi, esattamente come ieri, non stanno funzionando quelle del gran parolaio fiorentino, al secolo Matteo Renzi. Così stanno le cose e l’Italia con il suo carico di oltre 60 milioni di italiani sta andando dritta, come il Titanic incontro all’iceberg che ne causò il tragico affondamento, lei incontro all’inevitabile crack economico-finanziario, che getterà intere famiglie sul lastrico e distruggerà quel che resta del nostro già indebolito sistema produttivo. La nostra classe politica, infatti, dimostra oggi, come già fece in passato, di non capire i bisogni reali del Paese, soprattutto perché di questo non gli frega nulla. Lei resta lontana dai problemi della gente, semplicemente perché non sono problemi suoi ed anche perché la gente gli ha sempre, nonostante tutto, perdonato qualsiasi cosa, anche le peggiori e ad ogni tornata elettorale gli ha sempre garantito, assurdamente, la riconferma. Badate, noi parliamo di “classe politica”, di “partitocrazia”, di “nomenklatura”, perché abbiamo ormai, purtroppo, la certezza che qualunque schieramento formato dai partiti tradizionali vada a governare, la “rotta del nostro Paese” e le cose in generale, non cambieranno. Nessun leader politico, nessun partito, ha oggi titoli validi per candidarsi credibilmente a guidare la rivolta interclassista dei produttori. L’attuale nomenklatura, infatti, basa il suo potere elettorale, clientelare e finanziario, sul commercio delle assunzioni, sulla lottizzazione dell’informazione, sul controllo delle banche, delle tangenti e del credito agevolato. Tutte cose che permettono di ricattare il popolo e che fanno apparire i nostri politici come grandi pupari, che muovendo i fili del potere si arricchiscono, a danno dell’economia stessa del Paese, sulla pelle dei cittadini che dovrebbero, invece, rappresentare. Nulla da stupirsi, quindi, che le cose vadano male o non vadano affatto, la nostra classe politica ha interpretato, alla faccia degli elettori, il mandato conferitogli, non per rispettare i patti stretti con chi ingenuamente continua a rinnovargli la fiducia attraverso il voto, ma bensì per i loro porci comodi. Alla luce di quanto ci è dato capire, visto che il trasformismo è la prassi più dozzinale del nostro mondo politico più sottosviluppato, viene, addirittura e purtroppo, sempre più spesso, da chiedersi se in Italia uno Stato ce lo abbiamo davvero. Uno Stato sa, infatti, proprio per la provenienza etimologica della parola, dare al proprio popolo: certezze, regole, serenità, speranze, insomma, uno Stato che dir si voglia sa dare, quello che l’Italia attraverso la sua nomenklatura non ha mai dato agli italiani, che l’unica cosa di cui sono certi è proprio che in Italia non vi sono certezze. Da noi, infatti, le regole vengono cambiate in corso d’opera, non vi è più alcuna certezza sull’età in cui, dopo una vita di onesto lavoro, si potrà andare in pensione; non vi è più certezza di poter ricevere il legittimo “TFR” visto che alle gole profonde dei nostri politicanti pare far gola anche il salvadanaio dei lavoratori dipendenti; non si sa più, se entrando in ospedale per una semplice appendicite se ne uscirà ancora vivi, la sanità, la salute della gente comune, è un settore dove i nostri parlamentari-regnanti amano risparmiare; non si sa se i risparmi di conto corrente, se i soldi messi da parte per la vecchiaia, siano sicuri e disponibili; non si sa se la casa, acquistata col sudore della fronte, dopo aver pagato mutui e tasse, non verrà espropriata, giorno dopo giorno, da nuove gabelle e nuovi balzelli; non si sa, se tutte le cose su cui si sono pagate le imposte al momento dell’acquisto possano, poi, essere oggetto di ulteriori aggravi fiscali. Ci dicono che le tasse bisogna pagarle. Per una questione di giustizia. Per ridistribuire la ricchezza. Per aiutare la povera gente. Peccato che i nostri soldi vengano ridistribuiti, sempre e solo, nelle tasche dei “ridistributori”. A noi città inquinate e disordinate, criminalità e droga crescente, TV di Stato e “paraStato” becere e bugiarde, ospedali fatiscenti, crisi economica, licenziamenti e gente che resta senza salario. A loro, alla nostra nomenklatura: lussi, privilegi, stipendi faraonici , “auto blu”, cliniche private gratis, viaggi in aereo e autostrade a spese nostre, rimborso di spese d’affitto e quant’altro. Una vera classe politica regnante, solo i RE in passato, potevano vantare privilegi e diritti simili a quelli dei nostri parlamentari. Ebbene, questa faraonica classe politica non ce l’ha la Germania, non ce l’ha la Francia, non ce l’hanno neanche gli Stati Uniti d’America, loro, seppur più ricchi di noi, sono senz’altro meno fessi e non avrebbero mai dato fiducia a gente che negli anni, nonostante un continuo aumento della pressione fiscale, è riuscita a lasciare al proprio popolo un catastrofico impoverimento della liquidità dello Stato e con esso, un’economia che, se si è buoni, ci si può accontentare di definire traballante. Mai, altrove, in qualsiasi angolo del mondo civile, i popoli avrebbero per così lunghi anni perpetrato a loro danno scelte tanto dissennate; mai avrebbero, in maniera tanto masochista, riposto la loro la fiducia in una “mano pubblica” capace di causare all’intero Paese, con la sua incapacità e la sua negligenza, danni per milioni e milioni di euro. Non crediamo sia possibile effettuare un calcolo preciso di quanti soldi siano finiti nella moltitudine di “cattedrali nel deserto” e di “fabbriche di San Pietro” volute dai nostri politici. Non crediamo si possano contare gli innumerevoli acquedotti senz’acqua, le superstrade che collegano il vuoto, le fabbriche di barche site in montagna, le stazioni ferroviarie senza treni, gli ospedali finiti e mai inaugurati piuttosto che gli aeroporti senza aerei, le carceri mai aperte, le scuole nuove consegnate al degrado ecc. ecc. ecc. Crediamo, invece, che se l’enorme quantità di denaro, dilapidata per tanti e tali improduttivi scopi, fosse rimasta nell’economia privata, sarebbe senz’altro servita a creare ricchezza e occupazione. Crediamo non si possa più rimandare una vera riforma federalista. Crediamo sia ormai indispensabile che gli italiani si riapproprino della politica. Crediamo che l’attuale nomenklatura debba ai cittadini un mucchio di scuse e, soprattutto, un bel mucchio di soldi. Crediamo che sia giunto il momento di organizzarci per andare a riprenderci il maltolto. Crediamo sia il tempo di “ITALIA TERRA CELTICA”!
Il Segretario Federale
Paolo BINI