Dall’alba rinascimentale del giornalismo al suo tramonto
E brava “la Repubblica” che ha addirittura fornito l’identikit del “no vax” tipo, adesso, dopo che l’illuminato quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Maurizio Molinari ci ha detto chi sono i “no vax”, siamo tutti più tranquilli. Ora sappiamo che coloro che rifiutano l’inoculazione del siero genico sperimentale, ribattezzato “vaccino anti covid” dai governi asserviti alle ragioni delle Big Pharma ed ai poteri ancor più forti che le controllano, sono dei “poveracci” con poca cultura, disoccupati e disagiati. Ora, tutti coloro che postano sui social il grido di vittoria dopo essersi vaccinati per la terza volta, neanche avessero vinto una medaglia alle olimpiadi, sappiamo per esclusione, seguendo il contorto ragionamento delle menti eccelse che scrivono sul quotidiano romano di via Cristoforo Colombo, che sono persone istruite, sicuramente in possesso di diploma di scuola secondaria di secondo grado, quando non di laurea, con ottimo impiego ben retribuito e in possesso di unità abitative simili alle residenze holliwoodiane dei più famosi attori e divi del cinema.
Ora, seppur da sempre non mi sono considerato un “no vax” ma una persona che lotta per la libertà di scelta vaccinale, venuto a conoscenza che anche i milioni di italiani fermi alla seconda inoculazione di “vaccino anti covid”, che non hanno intenzione di sottoporsi alla terza iniezione, vengono considerati “no vax”, credo che a tutti gli effetti, secondo “la Repubblica”, io venga considerato un disagiato, né scolarizzato, né acculturato e quasi alla fame in quanto senza lavoro. Apprendo, seguendo pedestremente il ragionamento del quotidiano capitolino, che “così bene” e con “grande sicurezza” traccia il profilo del “no vax” tipo, di essere in ottima compagnia, una compagnia che non cambierei mai con quella di un “giornalista” qualunque di “Repubblica” e con nessun membro di questo illegittimo Governo, Mario Draghi in testa. Ora non so, o “Repubblica” è a conoscenza di fatti a me, a noi di Italia Terra Celtica, sconosciuti, quali ad esempio la confisca delle lauree e dei master a suo tempo conseguiti da gente considerata “no vax” dalla sedicente informazione ufficiale come Giorgio Agamben, Diego Fusaro, Luc Montagnier, Barbara Balanzoni, Alessandro Meluzzi, Francesco Borgonovo, Gianluigi Paragone, Francesca Donato, Loretta Bolgan, Massimo Citro ecc. ecc. o altrimenti credo di poter dire, senza correre il rischio di essere smentito se non da qualche politico, giornalista o pandemente nulla capente, che la descrizione fatta da “Repubblica”, che vuole il “no vax” quasi alle soglie dell’evoluzione umana, sia del tutto falsa, se non addirittura grottesca in quanto probabilmente ricavata, da chi scrive l’articolo, osservando il materiale “umano” presente nella redazione del “giornale” per il quale lavora.
Io credo che un simile modo di interpretare il giornalismo alla fine faccia solo vendere meno copie; credo che sia un insulto per chi ancora intende il giornalismo come una missione, un atto d’amore verso la verità e uno slancio affettivo e razionale verso la creazione di un’opinione pubblica ben informata. Credo che fare giornalismo significhi migliorare la società ed essere il collante di tutte le diversità di pensiero e opinione. Credo che il giornalismo, fatto bene, debba essere democratico e debba permettere a tutti di creare qualcosa, soprattutto debba fornire ai cittadini strumenti validi, corretti e non inventati per l’analisi della quotidianità. Credo che dall’alba del giornalismo, comunemente ricondotta agli “avvisi” del Rinascimento, oggi, nonostante gli addetti ai lavori facciano un gran parlare di integrità morale e di amore per la notizia, sia passato tanto tempo, forse troppo; credo che in tutti questi anni il giornalismo sia mutato a tal punto da divenire un qualcosa di diverso rispetto a ciò che originariamente voleva essere. Credo che oggi, davanti a noi, si stagli il tramonto del giornalismo. I giornali, così come le televisioni e internet pian piano si sta avviando a fare la stessa fine, siano a tutti gli effetti utilizzati per dispensare “verità” di comodo. Oggi non conta più essere in grado di capire cosa sia una notizia, oggi il “padrone” decide cosa deve far notizia e il giornalista, come l’ultimo degli impiegati pubblici ai quali è richiesta quale unica abilità quella di obbedire senza chiedere e di centrare il foglio di carta sul quale necessita apporre un timbro, scrive praticamente sotto dettatura. Da qui, da questo giornalismo, titoli come quello apparso su “la Repubblica”.
Il Segretario Federale
Paolo Bini