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C’è chi fa politica e chi fa marketing elettorale

by / venerdì, 01 novembre 2019 / Published in Giustizia e società

Non so se può essere consolatorio per Di Maio e Zingaretti, il primo che ambisce a rappresentare il nuovo che avanza e il secondo il buon vecchio che non tramonta mai, ma credo che entrambi debbano farsene una ragione, la loro ultima semina è stata fatta in evidente “luna sbagliata” e il raccolto non poteva essere che pessimo. La fiducia in fondo è come la verginità, una volta perduta, se non si ricorre alla chirurgia, buona solo per intortare qualche sprovveduto, non la si recupera più!

A onor del vero il Pd dal 1991 ad oggi alla chirurgia estetica è ricorso più volte ed anche in maniera massiccia. Da allora il P.C.I., forse senza rendersene conto, scimmiottando coloro che avendo qualcosa da nascondere ricorrono al cambio delle proprie generalità attraverso l’utilizzo di documenti falsi, ha anche cambiato più volte nome al partito. Forse il continuo cambio di simboli e di nomi è stato fatto con l’intento di far perdere le loro tracce, di far dimenticare le loro origini; forse sono ricorsi a questo metodo, normalmente in uso a chi vuole rifarsi una vita dopo aver compiuto atti delinquenziali o dopo aver compiuto errori marchiani, come autocritica verso tutto ciò che erano stati prima; forse hanno pensato che del comunismo alla fine degli anni 90 non fregasse più niente a nessuno; forse l’hanno fatto solo con lo scopo di riuscire a rendersi un po’ più presentabili, con l’unico intento di riuscire a prendere qualche voto in più, o forse non ne ho azzeccata neanche una e solo loro sanno il perché di tanti mutamenti. Di fatto nel 1991 hanno cestinato stella, falce, martello e bandiera rossa, si sono chiamati Partito Democratico della Sinistra (P.d.S.) ed hanno presentato agli italiani un simbolo raffigurante una quercia che affondava le radici nel vecchio simbolo del Partito Comunista Italiano, poi, nel 1998 hanno ripensato il nome, si sono battezzati Democratici di Sinistra (D.S.), hanno fatto sparire bandiera rossa, stella, falce e martello dalle radici della quercia e in loro vece ci hanno messo una bella rosa rossa e così è stato fino al 2007, quando sono riusciti nell’intento di abortire completamente la sinistra dal nome del partito ed a chiamarsi semplicemente Partito Democratico (P.D.), ovviamente il simbolo ha visto l’abbattimento della quercia e la comparsa di un ramoscello d’ulivo sopra la scritta Partito Democratico ed alla base della lettera P di colore verde a sua volta legata con la lettera D di colore bianco distinta nel fondo con un rettangolo di colore rosso a ricordo del tricolore italiano.

Insomma, trasformismo allo stato puro, trasformismo senza fine, che ha visto avvicendarsi Segretari di estrazione politica talmente diversa fra loro che riesce difficile credere che il P.C.I. possa essere stato e possa essere, anche solo lontanamente, la culla dei valori portati oggi avanti dal P.D.

Vogliamo fare un piccolo sforzo di memoria? Tutto ha avuto inizio con Achille Occhetto nel 1991, sotto la sua guida, ultimo Segretario del P.C.I., nasce il P.D.S., dopo di lui guidato da Massimo d’Alema che nel 1998 ha traghettato gli ex comunisti all’interno di un insieme informe di ex democristiani, ex socialisti, ex radicali, ex verdi ed ex tutto, ridenominato Democratici di Sinistra, che nella carica di Segretario hanno visto succedersi Walter Veltroni e Piero Fassino con ancora Walter Veltroni, nel 2007, alla guida del nascente Partito Democratico che ad oggi, pensate, ha visto succedersi nella sala di comando: Dario Franceschini, Pier Luigi Bersani, Guglielmo Epifani, Matteo Renzi, Matteo Orfini, ancora Renzi e per finire, per adesso, nell’attesa dell’ennesimo cambio di nome, Maurizio Martina e Nicola Zingaretti.

Insomma, tutto questo annaspare alla ricerca del galleggiamento politico da parte del Pd, se solo fosse vera una minima parte delle parole usate dai 5 stelle per carpire il voto degli italiani, avrebbe dovuto rendere, nella maniera più assoluta, irrealizzabile l’attuale alleanza di governo. Ma la politica italiana  è così, è sempre stata così, è destinata al popolo, alla totale mancanza di memoria del popolo. Del Partito Comunista Italiano, nato a Livorno il 21 gennaio 1921, piaccia o non piaccia, non è rimasto più nulla ed allo stesso modo, si mettano il cuore in pace tutti quelli che cercano consenso, da abili falsari, agitando lo spettro del fascismo, del ventennio mussoliniano è rimasto meno di niente.

Oggi, Pd e 5stelle, così come quelli che sono dall’altra parte della barricata e che ogni tanto si sentono dare dei fascisti da chi ha introdotto, sotto l’ultimo governo Prodi, pene severissime per i reati d’opinione e da chi si arroga il diritto di stabilire quale libro possa o non possa essere letto e presentato nelle fiere e nei saloni dedicati alla cultura, alla narrativa, al romanzo e alla storia, altro non sono che partititi “post-moderni”, che fanno dell’americanismo, dell’europeismo, della fiducia cieca nei mercati, dei twitter e dei social network il loro credo, il loro insignificante e inutile modus vivendi.

I partiti di oggi hanno rinunciato scientificamente, nella quasi totalità, alla militanza, ad avere strutture organizzative, hanno colonizzato le televisioni e sono molto attenti all’impiego di internet. Oggi ti entrano direttamente in casa e le manifestazioni di piazza, poche, vengono fatte al solo scopo di mostrare la loro forza a chi guarda la televisione comodamente seduto sulla poltrona o sul divano di casa, poi, anche in  prima serata, è tutto un talk show dedicato alla politica, dove le presenze di un leader di partito rispetto ad un altro sono unicamente dettate dagli ascolti e quindi, dai passaggi pubblicitari.

Noi facciamo politica, cerchiamo di spiegare alla gente cosa gli sta accadendo intorno, facciamo comizi davanti a 50-100 persone, volantinaggi nei mercati, organizziamo dibattiti per discutere con gli amministratori locali dei problemi del territorio, gli altri si dedicano esclusivamente al “marketing elettorale”, nei fatti sono vere e proprie aziende del consenso, che hanno quale unico scopo, come tutte le aziende che si rispettano, non la risoluzione dei problemi della Nazione, non seguire, orientare, proteggere e pianificare l’inevitabile trasformazione della società, bensì il profitto ad ogni costo.

Dovrebbe essere facile rendersi conto di ciò; dovrebbe essere facile rendersi conto che il Paese legale non rappresenta più il Paese reale; dovrebbe essere facile notare la distanza, sul piano dell’efficienza, che separa la politica romanocentrica dalla parte sana del Paese, la prima accumula debiti, la seconda ricchezza, quella ricchezza che è preda preferita da sempre dello Stato centralista romano.

Torre Canavese 30 ottobre 2019

Il Segretario Federale

Paolo Bini

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