Umbria, premiata la speranza, bocciata l’arroganza del centro-sinistra
Mi chiedono, “Sei contento, le forze di governo hanno perso le elezioni regionali in Umbria?” e ancora mi dicono: “Il centro-sinistra sta perdendo ovunque, finalmente si cambia!” ed io cosa dovrei rispondere, cosa dovrei dire di nuovo che non ho ancora detto, che non ho ancora scritto. Certo, il nostro attuale governo sembra aver voluto sbalordire definitivamente gli italiani con una manovra fiscale penosa e iniqua, sembra alla canna del gas e nonostante tutto, quando Di Maio e Zingaretti parlano alla Nazione di quello che stanno facendo per gli italiani sembrano illustrare il fantastico mondo di Quark e non a caso sono andati incontro ad una disastrosa debacle elettorale. Poi, però, lasciando perdere le fantasticherie del centro-sinistra e dei 5 stelle che, se lasciati troppo parlare a vanvera, ci avrebbero anche narrato di risanamento di bilancio, di lotta senza tregua all’evasione fiscale e, come tutti da 30 anni a questa parte, di immancabili nuovi posti di lavoro, quello che vedo è uno Stato, l’Italia, che non riesce a scrollarsi di dosso il suo pesante abito centralista. Quello che vedo è un centro-destra che pare aver dimenticato, se mai l’ha avuta in mente, l’unica vera e improrogabile riforma dalla quale partire per uscire definitivamente da questa terribile crisi economica-finanziaria e morale. L’Italia, come non mai, non avendo più una moneta propria e quindi, non potendo più ricorrere alla svalutazione della stessa, ora deve scegliere se morire di centralismo romano, non importa se a guida centro-sinistra o centro-destra, o avviare nel breve, nel brevissimo, l’indispensabile riforma federalista.
Nel giardino dei Bot e dei Cct a fare la voce grossa è ormai la Banca Centrale Europea e quel che è peggio, di questo gli siamo anche riconoscenti perché pare che l’unica cosa che interessi sia tirare a campare, magari con le pezze al culo, ma da buoni credenti nei miracoli i nostri politici sembrano unicamente interessati a prendere tempo nella speranza che qualche avvenimento fortunato possa togliere l’Italia dall’impasse. Così, nell’attesa di qualche aiuto dal cielo, l’ultima stima ufficiale di Bankitalia ci parla di un debito pubblico di 2.463 miliardi, cifra che vi consiglio di non tradurre in lire perché potreste avere un grave mancamento.
A questo punto, cosa dire, certo vedere la sconfitta dei grillini e del Partito democratico mi fa piacere, li ho sempre considerati degli incapaci i primi e degli arroganti i secondi, ma dall’altra parte della barricata non vi è altro se non l’altra faccia della partitocrazia romanocentrica, il centro-destra, al di là di proclami e promesse, non avendo in programma di uscire dalla Nato e dalla U.E.; non avendo in progetto la riforma federale dello Stato; non avendo in programma il ritorno sul mercato libero dell’Italia come fornitrice di servizi al privato di luce, gas, energia e telefonia; non avendo in programma il ritorno dell’Italia nel settore produttivo e commerciale, soprattutto nel comparto agro-alimentare, l’unica cosa di diverso, che potrà fare rispetto al governo giallo-rosso, sarà niente o forse, fra gli strali internazionali di pelosi buonisti di professione, riuscirà a limitare qualche sbarco di clandestini, che comunque non cesseranno ed anche un eventuale governo Berlusconi-Salvini-Meloni, continuerà a mantenere sul nostro territorio a spese dei contribuenti.
Insomma, la tragedia vera è che nessun leader politico romanocentrico ha in programma un modo diverso di reperire denaro per lo stato sociale e per i lavori pubblici se non il solito, vecchio, ormai unico, aumento della pressione fiscale.
Il disastro assoluto è alle porte e irromperà nelle case degli italiani senza nemmeno bussare, rimandare la riforma federalista significherà dire addio all’Italia, i lavoratori tasteranno con mano l’imbroglio Inps e si renderanno conto di aver versato per 30-35-40 anni ed oltre contributi per una pensione che non riceveranno mai; i pensionati dovranno trovarsi, se la salute li aiuta, qualcosa da fare perché uno Stato in default non riuscirà più a garantire nulla; il Paese sarà sottoposto a saccheggi continui nell’attesa di nuove forme di governo e tutto questo unicamente perché il popolo italiano ha sempre trovato e continua a trovare amabile e di buon gusto farsi prendere per il culo da politici palesemente incapaci quando non disonesti e corrotti.
Quindi, tornando alle elezioni regionali umbre, a votare c’è andato circa il 64% degli aventi diritto facendo rimarcare una leggera crescita rispetto alle percentuali registrate su tutto il territorio nazionale negli ultimi 10 anni. Da tempo ormai ci si era abituati a vedere circa la metà o poco più degli elettori accreditati nelle liste elettorali recarsi ai seggi, la speranza è che questo possa servire, la speranza vera sarebbe quella di vedere milioni di italiani prendere coscienza che qualsiasi voto dato ai partiti romanocentrici è un voto contro sé stessi, contro la propria famiglia e contro la possibilità di trovare un lavoro onesto ben retribuito.
In Umbria è successo null’altro di ciò che doveva succedere, l’elettorato ha punito chi sembrava più incapace; ha voltato la faccia al Pd, che dopo 50 anni di governo regionale ha lasciato in eredità al popolo umbro solo scandali, processi e le macerie dei terremoti, finanche quelle del sisma del 1997, poi, ha premiato chi gli è andato a parlare di speranza, sperando di non sbagliare.
Ora, noi per primi vorremmo sbagliarci, ci piacerebbe sentire Salvini parlare concretamente di federalismo; ci piacerebbe vedere al governo gente che ha scelto la politica quale missione e non quale alternativa alla disoccupazione; ci piacerebbe un governo capace di colpire i veri evasori, quelli che portano via miliardi di euro verso i paradisi fiscali e non quelli che omettono qualche scontrino per legittima difesa contro un fisco che cannibalizza le piccole imprese, i commercianti, gli artigiani e tutti coloro che sono ricorsi ad una partita Iva per poter vivere dignitosamente e onestamente. Ci piacerebbe sentire parlare di lavoro e non di tavoli di crisi sui quali centinaia di migliaia di italiani rischiano la disoccupazione perché le tanto acclamate multinazionali, alle quali tutti i governi del passato hanno steso i tappeti rossi cosparsi, non di petali ma di sovvenzioni, contributi e agevolazioni, ora fuggono verso Paesi dove la tassazione è più giusta e sopportabile. Ci piacerebbe che i politici la smettessero di ripetere il mantra di berlusconiana memoria, che materializzava milioni di posti lavoro in cambio di milioni di voti, perché, né il capostipite dei promettitori, il Cavaliere di Arcore, né tutti quelli che l’hanno seguito nell’arte della promessa facile di lavoro e opportunità per tutti, da Prodi a Bersani, da Renzi a Di Maio, sono riusciti nella realizzazione di tali promesse, anzi, il lavoro in Italia, grazie a questa gente, è diventato come i fantasmi, solo che questi si manifestano nelle notti di luna piena, preferibilmente nelle vicinanze o all’interno di antichi manieri per poi volatilizzarsi al mattino, quando realmente bisognerebbe alzarsi dal letto per recarsi su un posto di lavoro che, svanito nel nulla come i fantasmi, non c’è e continuando ad accettare il ruolo di ascari di francesi, tedeschi e americani non ci sarà mai!
Ci piacerebbero tante cose, tutte, nessuna esclusa, non fanno però parte del bagaglio politico e culturale di chi è portatore, più o meno sano, di partitocrazia romanocentrica!
Torre Canavese 29 ottobre 2019
Il Segretario Federale
Paolo Bini