Un popolo che non ha lingua ufficiale, può essere Nazione?
Certe volte mi capita di rileggere quello che ho scritto e di esclamare: “Caspita, peggio non potevo fare!”, poi, leggendo i maggiori, più importanti quotidiani italiani, tanto per capirci, quelli che passano in tutte le rassegne stampa televisive, quelli che fanno opinione e troppo spesso incidono sulle scelte politiche degli italiani, quelli che ospitano le “grandi firme” del giornalismo, mi dico: “Paolo, c’è chi fa peggio ed è pure lautamente pagato per farlo!” Certo non è una consolazione e infatti non la prendo come tale, però, è una constatazione e come tale va presa e deve far riflettere sulla pochezza di chi è chiamato a fare informazione nel nostro Paese.
Senza essere catastrofico e senza nemmeno sforzarmi ad essere equanime nel giudizio, sia per ciò che scrivono, sia per come lo scrivono, direi che i nostri giornali rappresentano il supremo disastro, frutto di mezzo secolo di monopolizzazione ad opera di una legione di pseudo intellettuali sempre pronti a cantare nel coro del dogmatismo politico o religioso del nostro mondo culturale, giornalistico ed accademico.
L’italiano, la lingua più bella del mondo, da pochi parlata e da ancor meno scritta correttamente, se è vero che all’estero è tenuta in scarsa considerazione, è altrettanto vero che da noi viene quotidianamente vilipesa da chi, soprattutto politici e giornalisti, dovrebbe farne un uso corretto ed appropriato. Da noi è tutto un fiorire di “patrioti” dell’ultima ora, persino la Lega Nord ha abbandonato il progetto federalista per non correre più il rischio di essere additata come secessionista dai tanti che non hanno mai fatto fatica a confondere il “federalismo” con il “secessionismo” in ossequio alla loro scarsa o totale non conoscenza dell’italiano.
Oggi, senza girarci troppo intorno, sentiti “fior fiore” di opinionisti e politici ricorrere, praticamente sempre, all’uso di terminologie e parole d’importazione, vedi “devolution – premier – election day – zapping – spending rewiew – reset – spread” ecc. ecc., anche la scuola si è inchinata all’assoggettamento inerte della “nostra lingua” ed alla sua incessante e progressiva colonizzazione ad opera dell’inglese non a caso utilizzato per identificare i sistemi di funzionamento di quasi tutta la strumentistica prodotta in Italia. Così, mentre ci chiedono di rimanere uniti, di pagare e tacere; mentre tutto ciò che non è partitocrazia, solo Italia Terra Celtica, è additato come eversivo; mentre il tricolore per Costituzione è la bandiera degli italiani, si scopre “l’acqua calda”, per Costituzione l’italiano non è la lingua degli italiani!
Incredibile! No, una cosa italiana, come tante cose italiane senza alcuna spiegazione e soprattutto, senza alcuna identità, al “Bel Paese”, patria di “santi, poeti e naviganti”, manca una lingua ufficiale!
L’italiano, snobbato dalla nostra Repubblica partitocratica, che alcuni vorrebbero “nata dalla resistenza”, ma che i fatti indicano nata dalla corruzione, dalla concussione e dalla malversazione, è invece la lingua ufficiale della Repubblica di San Marino e dello Stato Città del Vaticano e questo, nonostante generazioni di studenti, nelle nostre scuole, abbiano studiato l’importanza della grammatica e dell’italiano da Dante a Manzoni. Il motivo di ciò non è dato sapere, resta il fatto che ad oggi, 10 maggio 2018, gli italiani non hanno una lingua ufficiale, sarà stata una svista dei tanto decantati “Padri costituenti”? Chissà, è comunque una svista di generazioni di politici che dal 46 ad oggi è riuscita nella difficile impresa di portare l’Italia sull’orlo del fallimento, ma non è riuscita a scrivere nella Costituzione che gli italiani oltre ad avere una bandiera hanno anche una lingua, peccato, considerato che l’italiano è la lingua della poesia per antonomasia, in tutto il mondo, tranne che in Italia!
La lingua contiene tutti gli elementi qualificanti la storia e l’identità del popolo che la parla. Nell’articolazione del linguaggio non vi è soltanto l’espressione del pensiero in termini comprensibili, ma vi si condensano esperienze, relazioni, contatti, usi, costumi, abitudini, vicende, aspirazioni e creazioni che, nel loro insieme, rappresentano l’evoluzione secolare di una comunità cioè la sua identità nazionale.
La lingua non si limita ad essere un addendo del processo aggregante di una nazione, ma è la sua storia, è l’elemento costitutivo che, a prescindere dalle diversità localistiche, dovrebbe identificarci come comunità nazionale. E’ il valore aggiunto, che nel secolo della globalizzazione va mantenuto e rafforzato perché elemento identitario e come tale capace di dare un senso comune alla vita della Nazione.
Peccato, però, che l’Italia sia uno dei pochi paesi occidentali in cui la Costituzione non prevede espressamente il riconoscimento della lingua nazionale come lingua ufficiale dello Stato e, se è corretto dirlo, ancora più peccato che nessuno, nelle istituzioni che ci dovrebbero rappresentare, riesca a trovare il tempo e le motivazioni affinché questo vuoto venga al più presto colmato.
Sia chiaro, gli strafalcioni che ogni tanto mi capita di prendere, come ho già detto all’inizio, non vogliono trovare scusante in tutto ciò, però, resta il fatto che l’Italia è un Paese le cui regole sono dettate da una Costituzione che non prevede una lingua ufficiale; un Paese nel quale quasi tutti, più o meno, fanno dell’italiano l’uso che preferiscono arrivando spesso, se possibile dirlo, ad offendere la lingua che parlano, scrivono ed in molti casi gli da anche da vivere.
Torre C.se 16 maggio 2018
Il Segretario Federale
Paolo Bini