Si o No, un pochino di storia forse può aiutare
Il 9 e 10 giugno 1985 in Italia gli elettori furono chiamati a decidere se abrogare la norma che comportava un taglio dei punti della scala mobile. Il referendum era promosso in “splendida” solitaria dal PCI di Alessandro Natta con addirittura la CGIL, allora guidata da Luciano Lama, che considerava la scala mobile un meccanismo che si poteva perfettamente riformulare o abrogare senza danneggiare la classe dei lavoratori. I fatti ci hanno consegnato qualcosa di diverso, il referendum fu vinto dai No, per dirla in parole povere gli italiani decisero che per il bene del Paese i loro stipendi non sarebbero dovuti crescere automaticamente con l’aumento del costo della vita. Tutti gli adeguamenti salariali vennero lasciati nelle “sapienti” mani della triplice sindacale ed al buon cuore dei “padroni”. Ovviamente il quesito referendario non coinvolgeva tutti, diversamente dove sarebbe stata la fregatura. Per i magistrati ad esempio il meccanismo di adeguamento automatico dello stipendio non è mai stato abolito e ogni tre anni, senza che si disturbino a chiedere o ad aprire vertenze, la loro busta paga si conforma alle mutate esigenze. Lo chiamano allineamento, in realtà è un sistema che consente di avere gli aumenti non facendo neppure un’ora di sciopero. Ma tantè, allora come oggi la gente si scaldava e litigava e nel “Palazzo” i politici, al di là delle schermaglie ad uso e consumo degli elettori, se la ridevano. Comunque, tanto per capirci, tanto per risvegliare la memoria di chi, come me, quegli anni li ha vissuti avendo già l’età per votare, riporto di seguito il quesito referendario che permise alla politica romanocentrica di cancellare la scala mobile, non per una legge voluta da questo o quel partito, ma per assecondare il volere popolare.
Quesito: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo unico della legge 12 giugno 1984, n. 219 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 163 del 14 giugno 1984), che ha convertito in legge il decreto-legge 17 aprile 1984, n. 70 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 107 del 17 aprile 1984), concernente misure urgenti in materia di tariffe, di prezzi amministrati e di indennità di contingenza, limitatamente al primo comma, nella parte che ha convertito in legge senza modificazioni l’art. 3 del decreto-legge suddetto, articolo che reca il seguente testo: “Per il semestre febbraio-luglio 1984, i punti di variazione della misura della indennità di contingenza e di indennità analoghe, per i lavoratori privati, e della indennità integrativa speciale di cui all’art. 3 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79, per i dipendenti pubblici, restano determinati in due dal 1º febbraio e non possono essere determinati in più di due dal 1º maggio 1984″; nonché al penultimo comma, limitatamente a quelli di cui all’art. 3 di quest’ultimo decreto-legge, che reca il seguente testo: “Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 15 febbraio 1984, n. 10″ (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 47 del 16 febbraio 1984)?»
Ora vorrei che qualcuno in buona fede mi dicesse quanto il corpo elettorale italiano poteva capirci e vorrei che qualcuno, sempre in buona fede, mi dicesse se il Si o il No poteva essere scelto con giudizio e comprensione dall’elettore o se questi doveva, invece, come secondo me già allora accadde, affidarsi agli orientamenti elettorali propagandati dai partiti.
Insomma, sono voluto tornare a parlare di referendum a due giorni dall’apertura delle urne, per l’ennesima volta senza dettare orientamenti di voto, non per sport e nemmeno per confondere le idee agli italiani, semplicemente perché, soprattutto attraverso i social network, sto vedendo un mucchio di brava gente che ci mette la faccia per il Si o per il No con le idee, a leggere ciò che scrivono per motivare la loro scelta e per invitare altri a votare come loro, a dir poco confuse.
Quindi, a costo di essere ripetitivo, a costo di risultare antipatico, il consiglio, l’unico consiglio che posso dare agli italiani è quello di informarsi, leggere e costruirsi un’idea propria. Non vale mai la pena di votare secondo l’idea di un altro, il voto è troppo importante, ma in Italia sottovalutato dall’elettore, per andare alle urne senza aver ben chiaro per chi e per cosa si vota.
Votare significa essere mandanti di qualcosa e di qualcuno, la crisi devastante che stiamo vivendo e che affonda le sue radici nella storia della partitocrazia romanocentrica, certamente è figlia di scelte politiche e organizzative sbagliate, ma nei “Palazzi del potere” nessuno è entrato con la forza, tutti, da quando si vota, ci sono entrati a seguito del mandato ricevuto degli elettori.
Il Segretario Federale
Paolo Bini