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Non più italiani, ma ascari degli americani

by / martedì, 22 marzo 2016 / Published in Esteri

Una cosa che proprio non riesco a digerire è il servilismo che noi italiani non manchiamo di mostrare nei confronti degli Stati Uniti d’America. Non esiste guerra, guerriglia, colpo di stato, sommossa armata, che dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi non abbia visto impegnate le forze armate americane. In tutti i teatri di guerra gli americani sono e sono sempre stati in prima fila e là dove la pace sembrava aver sconfitto le atrocità della guerra ecco che i baldanzosi esportatori di democrazia non hanno mancato in intraprendenza per regalare al mondo sempre nuovi conflitti militari. Oggi, nonostante l’evidenza dei fatti, c’è ancora chi si “arrampica sui vetri” per giustificare le sempre più numerose aggressioni armate degli statunitensi a danno di stati pacifici di diversa cultura. I Massacri che i “nipotini dello zio Sam” regalano all’umanità vengono visti come necessari per sconfiggere il terrorismo; come imprescindibili per portare ovunque la democrazia della Coca Cola e dei McDonald’s, tuttalpiù, c’è chi non rinuncia al suo profilo di sedicente intellettuale e parla di errori e contorsioni di una potenza imperialista vittima delle sue visioni poco lungimiranti e delle sue tante contraddizioni; chi incolpa sempre i repubblicani, anche se si è ormai alla fine della seconda legislatura democratica guidata dal premio Nobel per la pace, Barack Hussein Obama; chi vede l’unico responsabile nella C.I.A., come se fosse un qualcosa di estraneo alla politica pacifista voluta dai governi statunitensi e chi incolpa incauti strateghi militari, colpevoli di non aver testato a dovere “l’intelligenza delle bombe” che a grappoli, da oltre mezzo secolo, i nostri grandi alleati d’oltre oceano regalano a chi ha abitudini di vita diverse dalle loro.

Insomma, è ormai chiaro che le guerre sono brutte, portano in dote morte, disperazione, carestie e pestilenze, però, credo sia altrettanto chiaro che, quando a farle sono gli americani, le guerre sono giuste e quasi sante. Così almeno per noi italiani, che non manchiamo di ricordare le ingiustizie e i morti del nazismo, del fascismo e del comunismo, ma che non vediamo e  non ricordiamo i milioni di morti del capitalismo americano.

Comunque, ora, dopo lo scempio fatto in Afghanistan, in Iraq e Libia, siamo di fronte ad una nuova “guerra santa”, come altro definire la chiamata alle armi contro l’Isis?

Pensare che lasciando le cose come stavano, senza aver la presunzione di andare ad esportare la “democrazia” a mano armata, l’Isis non sarebbe neanche esistito, ora non si sarebbe qui alla spasmodica ricerca di un “nemico creato in laboratorio” per giustificare la deriva colonialista intrapresa dagli Stati Uniti d’America, il mondo sarebbe molto più in pace, ma gli Stati Uniti starebbero vivendo una disastrosa crisi economica e sociale dovuta alla loro incapacità di creare ricchezza e lavoro senza ricorrere a spargimenti di sangue. Ma a onor del vero, cos’altro ci si poteva aspettare dalla “splendida democrazia” a stelle e strisce che affonda le sue radici sul più grande e dimenticato genocidio della storia dell’uomo, il massacro di oltre 100 milioni di nativi americani, cancellati senza alcun rimorso e nessuna scusa dalla faccia della terra per sola avidità?!

Pensate cos’ha portato solo la guerra in Iraq: più di un milione di morti, bombardamenti casuali e selvaggi che ancor oggi proseguono sul territorio iracheno a macchia di leopardo; Saddam Hussein giustiziato come il padre di tutti i mali su pretestuosi e infondati sospetti di produzione e detenzione di armi chimiche mai trovate; lo Stato iracheno irrimediabilmente distrutto; la sparizione del cristianesimo dal territorio; profughi iracheni che continuano a disperdersi in tutta Europa e infine, come sempre accade quando gli americani ci mettono mano, nessuna risoluzione in programma per la stabilizzazione geopolitica dell’area.

Che dire, complimenti! E noi dovremmo stare ancora qui a fare i loro “ascari”?

Il Segretario Federale

Paolo Bini

 

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