Ripresa inesistente, mercato del lavoro disastroso
L’evoluzione e la crisi del sistema produttivo italiano, nonostante l’ottimismo dispensato a piene mani da Matteo Renzi, continua a riflettersi negativamente sull’occupazione. Secondo i dati pubblicati a fine luglio dall’Istat, nell’ultimo anno, da giugno 2014 a giugno 2015, in Italia si sono persi 85 mila posti di lavoro. Un bel risultato per un governo che ha approvato il tanto reclamizzato “jobs act” come panacea di tutti i mali derivanti dall’agonia del nostro mercato del lavoro. Un risultato che solo noi, visto il tenore della legge, avevamo immediatamente anticipato. Non bisognava, infatti, essere degli scienziati per capire che i timidi segnali di ripresa nell’occupazione erano la conseguenza della decontribuzione per le nuove assunzioni e che presto tutto si sarebbe esaurito. Non bisogna nemmeno essere degli indovini per sapere cosa accadrà fra tre anni allo scadere delle agevolazioni introdotte dal “jobs act”, quando le migliaia di italiani assunti in tal modo, se non tutti, quasi, verranno licenziati per lo stesso motivo per cui prima erano disoccupati o lavoratori precari, ovvero, in Italia il costo del lavoro è qualcosa di insostenibile.
Ciò nonostante, non mi pare che industriali, imprenditori, banchieri e le loro associazioni di settore abbiano mai fatto quadrato contro la politica portata avanti da sempre dallo Stato italiano. Anche qui negli anni si sono registrati tanti “mal di pancia”, tante lamentele e qualche volta, anche qualche attacco alla politica governativa in tema di lavoro, ma tutta roba rientrata quando riuscivano, cosa sempre accaduta, ad ottenere quello che volevano, qualche sconto, qualche finanziamento, la concessione della cassa integrazione a piene mani, la possibilità di delocalizzare in ogni dove a loro piacimento e, con la complicità di una triplice sindacale sempre più inutile quando non dannosa per i lavoratori, la possibilità di firmare contratti collettivi continuamente al ribasso e non solo in termini di denaro e tutele, infatti, dalla fine degli anni 90, con la scusa di abbassare i costi, migliorare i servizi e creare nuovi posti di lavoro, le grandi aziende hanno cominciato in maniera sempre più massiccia a esternalizzare servizi, che tradotto ha significato e significa il trasferimento di intere branche di competenze, prima interne, a società, cooperative e consorzi che, sfruttando una carente e inadeguata legislatura, hanno precarizzato i posti di lavoro e la vita di centinaia di migliaia di italiani trattando i lavoratori come una qualunque merce di scambio.
Ciò nonostante non si è avuto nessun riscontro positivo, i servizi non sono migliorati, anzi, molto spesso sono peggiorati; i costi non sono diminuiti, ma aumentati e la disoccupazione è sempre cresciuta come testimonia il bollettino della crisi italiana fatto di un elenco interminabile di aziende in difficoltà e di lavoratori in lotta, spesso disperati perché non vedono alcuna via per uscire da questo lunghissimo tunnel dal quale vedono filtrare la luce di una prossima uscita solo Renzi e i suoi adepti. La gravità della situazione è tale che dovrebbe portare il tema del lavoro e del rilancio economico in primo piano nell’agenda del governo e delle opposizioni, ma così non è, la nostra politica continua a fare sempre più schifo e i nostri politici continuano a vivere di proclami e promesse che si sono tradotti, secondo uno studio di “Unimpresa” fatto dal 2008 a tutto il 2014, in più di un milione di posti di lavoro andati in fumo, ovvero, 172 mila posti di lavoro persi ogni anno.
Saldo decisamente amaro per il mercato del lavoro italiano ed ancora più amaro se si tiene conto che la disoccupazione giovanile, secondo i dati Istat di fine giugno, è arrivata al livello record del 44,2%.
Ora, un conto è essere ottimisti, un conto è voler continuare a far finta di niente e un altro è essere consci della realtà.
La realtà è brutta, ma non si cambia continuando a dar retta a Renzi o a chi per esso, dal sistema partitocratico non arriverà mai nessuna soluzione positiva al dramma sociale che sta sconvolgendo il Paese. Questo disastro era molto più che annunciato, noi abbiamo cercato di mettere in guardia gli italiani sin dal 2005, ma questi hanno preferito credere a chi gliela faceva più facile, ora cambiare diventa un obbligo, l’alternativa non sarà solo la disoccupazione, bensì la disperazione.
Il Segretario Federale
Paolo Bini